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Il 28 Settembre 2014 il Vescovo Mons. Lorenzo Loppa Innaugura L'anno Pastorale 2014-2015
A consegnato la Lettera Pastorale del Nuovo Anno:
“Accompagnare” nella gioia del Vangelo
Catechisti e comunità cristiana
a servizio della vita buona del Vangelo
Al Popolo di Dio che è in Anagni-Alatri
Carissimi,
un noto giornalista, nella rubrica che tiene da alcuni anni su un diffuso settimanale ecclesiale, qualche tempo fa si esprimeva in termini dubitativi sulla riuscita della scommessa di Papa Francesco in ordine alla “riforma della Chiesa in uscita missionaria”. Le riforme – questo era il senso del suo discorso – il Papa le farà sicuramente; ma la missione è un’altra cosa! La vera scommessa è la “riforma della Chiesa in uscita” verso le periferie. Ovvero l’uscita. Ma questa uscita missionaria non dipende da lui, che la può solo indire. Ed è ragionevole attendersi che le Chiese del benessere non lo seguiranno … L’uscita è l’uscita e non potrà essere fatta senza gli uscenti (cfr L. Accattoli). “Perché?” direte voi. Perché tutto ciò costa, ci spoglia, ci chiede di “perdere” molte cose, soprattutto la tranquillità! Già nell’Esortazione “Evangelii Gaudium” (= EG) Papa Francesco poteva scrivere queste parole a proposito delle difficoltà e dei ritardi cui può andare soggetta la svolta missionaria, soprattutto per il difetto di disponibilità delle persone soggette ad un calo di passione per il Vangelo: “Oggi, per esempio, è diventato molto difficile trovare catechisti preparati per le parrocchie e che perseverino nel loro compito per diversi anni. Ma qualcosa di simile accade con i sacerdoti, che si preoccupano con ossessione del loro tempo personale. Questo si deve frequentemente al fatto che le persone sentono il bisogno imperioso di preservare i loro spazi di autonomia, come se un compito di evangelizzazione fosse un veleno pericoloso invece che una gioiosa risposta all’amore di Dio che ci convoca alla missione e ci rende completi e fecondi. Alcuni fanno resistenza a provare fino in fondo il gusto della missione e rimangono avvolti in un’accidia paralizzante” (n. 81). La forza propulsiva del Vangelo appartiene al dinamismo divino, ma l’evangelizzazione è affidata alla parola umana, alla disponibilità degli strumenti, alla passione di chi annuncia, alla sua capacità di calarsi nel contesto dell’altro, di farsi suo compagno di viaggio e di entrare nella sua esistenza.
Se guardiamo in maniera accorta le nostre comunità, possiamo prendere atto di un fatto molto semplice: non fanno tanto difetto le vocazioni di speciale consacrazione. Mancano soprattutto laici di sana e robusta costituzione. La Chiesa non si costruisce solo con i ministri ordinati e i religiosi. Il sogno di Papa Francesco, di una svolta missionaria di tutta la pastorale, potrà prendere forma solo se cominceranno a crescere di numero delle belle vocazioni laicali, se ci sarà una nuova fioritura (come quella degli anni conciliari e post-conciliari) di convinte vocazioni all’animazione ecclesiale e alla vita comunitaria.
Educare alla vita buona del Vangelo: in cammino con le altre Chiese
Ne “La passione per il Vangelo”, ad un certo punto facevo emergere delle domande a proposito dell’educazione alla vita buona del Vangelo e in ordine soprattutto all’iniziazione alla fede di fanciulli ed adolescenti: “Come far migliorare le parrocchie dal punto di vista della maturità della fede? Come aumentare la quota di adulti “significativi” all’interno delle nostre comunità? Come mettere a disposizione dei nostri ragazzi degli adulti più attenti, meno frettolosi, più sereni, più coerenti, più competenti, più “appassionati” per il Vangelo?” (p. 7).
Iniziare alla vita cristiana è dono e compito di una comunità cristiana matura in cui sono coinvolte parecchie figure di animatori e in cui ha il primo posto la famiglia.
Nella stessa lettera pastorale ho cercato di indicare alcune strade da percorrere per la crescita delle nostre comunità. Sono convinto, inoltre, che una buona pastorale battesimale e post-battesimale potrebbe restituire una discreta quota di maturità cristiana alle nostre parrocchie. Penso che questa sia la strada giusta per guardare al futuro con un po’ più di speranza e, soprattutto, per attivare quei percorsi di accompagnamento nella gioia del Vangelo a cui hanno diritto i nostri ragazzi e adolescenti.
Il Decennio di “Educare alla vita buona del Vangelo” in questo momento ci vede particolarmente impegnati nel mettere a punto gli itinerari per il completamento dell’iniziazione cristiana dei ragazzi e degli adolescenti in parrocchia. Per il loro cammino di fede è importante una comunità cristiana adulta, pienamente responsabile nella condivisione dei carismi e nella partecipazione armonica di tutti i ministeri, con il coinvolgimento delle famiglie, di diversi animatori e, soprattutto, dei catechisti.
Il tema del Convegno diocesano di quest’anno è risultato assai eloquente e indicativo: “Catechisti e comunità cristiana per la gioia del Vangelo”. Abbiamo cercato di mettere al centro della nostra attenzione e del nostro impegno la comunità cristiana e la corresponsabilità nella iniziazione ed educazione alla fede. All’interno delle diverse vocazioni, fatte per integrarsi e completarsi a vicenda sia nella prassi ecclesiale che in quella formativa, abbiamo ritagliato la figura del catechista. Sono convinto che delle comunità cristiane in cui cresca sempre più la formazione degli adulti (famiglie comprese), in cui gli itinerari di fede siano a più forte ispirazione catecumenale e nelle quali si faccia seria formazione di evangelizzatori e catechisti siano alla portata del nostro impegno. Ma abbiamo bisogno come il pane in questo momento di vocazioni al servizio della buona notizia del Regno, di figure di evangelizzatori e catechisti che sentano l’esigenza di formarsi e attrezzarsi per raccontare la propria esperienza di fede, con un’accentuazione più caratterizzata dal primo annuncio, con un tratto più dinamico e missionario.
Il Convegno del giugno scorso ci ha sollecitati e incoraggiati a intraprendere un nuovo tratto di strada in cui sia messo a disposizione degli uomini e delle donne si domani un numero più consistente di araldi del Vangelo, di accompagnatori nella gioia e alla gioia del Vangelo, in un momento come quello che stiamo vivendo, difficile, ma nello stesso tempo affascinante per quello che di nuovo possiamo “produrre”.
Corresponsabilità educativa: gli animatori pastorali
L’impianto educativo della comunità cristiana è importante. Deve essere solido e variegato, robusto e diversificato. Nell’iniziazione e nella educazione alla fede si determina e si esprime l’autenticità e la credibilità del tessuto ecclesiale e dell’azione evangelizzatrice di una comunità di fede.
Ribadisco che tutta la comunità è responsabile dell’iniziazione e dell’educazione alla fede. Tale corresponsabilità trova la sua radice nel sacerdozio battesimale e nella piena configurazione di ogni cristiano a Cristo sacerdote, profeta e re. Ogni cristiano, nella sequela di Cristo, prende parte attiva alla vita e all’azione della Chiesa di modo tale che “all’interno della comunità ecclesiale l’azione (dei laici) è talmente necessaria che senza di essa lo stesso apostolato dei pastori non può per lo più ottenere il suo pieno effetto” (Apostolicam Actuositatem, Decreto sull’apostolato dei laici, n. 10). La Chiesa è un popolo in cui tutti sono al servizio della gioia del Vangelo. Tutti i cristiani sono evangelizzatori. Tutti i battezzati, dal primo all’ultimo, sono discepoli missionari e sono chiamati a crescere come evangelizzatori (cfr EG, 121). Tutti i battezzati, qualunque funzione esercitino e qualunque grado di istruzione abbiano, contribuiscono a dare risalto al volto missionario della Chiesa, caratterizzandone un tratto. Ma chi assicura particolare luce ai suoi lineamenti, garantendo fervore e audacia alla missione, sono gli animatori pastorali (o “operatori pastorali” come li chiama Papa Francesco).
Prima di presentare in maniera più dettagliata i catechisti, vorrei mettere a fuoco la figura degli animatori ecclesiali in genere.
Papa Francesco riserva loro alcune pagine molto interessanti della “Evangelii Gaudium” e precisamente, all’interno del secondo capitolo (“Nella crisi dell’impegno comunitario”), quando richiama l’attenzione su alcune tentazioni che li riguardano e che potrebbero ostacolare o ritardare “la svolta missionaria”; e in tutto il capitolo quinto, in cui tratteggia la fisionomia spirituale dell’evangelizzatore e mette in evidenza le radici della spiritualità missionaria (“Evangelizzatori in spirito”).
L’evangelizzatore secondo Papa Francesco
L’animatore secondo Papa Francesco è, prima di tutto, uno che non si considera mai “arrivato” e ha sempre un ulteriore passo da compiere. Si pensa in stato di conversione permanente e non dice mai “si è fatto sempre così” dando prova di audacia e creatività (cfr EG, 33).
L’evangelizzatore in spirito, inoltre, ha una fisionomia spirituale particolarmente segnata dall’incontro personale con Cristo Risorto e dall’esperienza della forza trasformante del Suo Spirito. E’ uno che si lascia cambiare il cuore e si fa affascinare ogni giorno di più dal Signore (cfr EG, 264 e 279). Prega e lavora. Fa risuonare, prima di tutto, la Parola di Dio dentro di sé (cfr EG, 149). La trasforma in preghiera sincera. E ciò lo stimola a cercare il bene degli altri.
Chi anima la comunità cristiana sente il piacere spirituale di appartenere ad un popolo (cfr EG, 268). La missione è una passione per Gesù Cristo, ma anche per il suo popolo. Chi vi si dedica deve resistere alla tentazione “di essere cristiano mantenendo una prudente distanza dalle piaghe del Signore” (EG, 270). Il testimone autentico di Cristo riconosce che ogni persona è degna della sua dedizione. Ogni essere umano è oggetto della infinita tenerezza del Signore che abita la sua vita. E il cristiano e l’animatore comunitario è strumento di questa tenerezza che dà senso e valore eterno ad ogni suo gesto: “Al di là di qualsiasi apparenza, ciascuno è immensamente sacro e merita il nostro affetto e la nostra dedizione. Perciò, se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita” (EG, 274).
L’operatore pastorale che si mette a servizio della Pasqua per trasformare il mondo, di conseguenza, sa ascoltare il grido delle persone in difficoltà (cfr EG, 187), ha a cuore la fragilità dei fratelli, perché nella famiglia dei figli di Dio non ci sono “vite di scarto”. Tutti godono di un’eguale e intangibile dignità.
E ancora. L’animatore che sogna Papa Francesco conosce l’arte dell’accompagnamento, la pazienza e sa lavorare “a tempi lunghi”. Questo è molto importante per iniziare ad educare alla fede.
Tutti i membri della Chiesa devono essere iniziati all’arte di accompagnare le persone, soprattutto chi è più direttamente responsabile del cammino di fede degli altri. Solo così si dà spessore e concretezza allo sguardo di Gesù Cristo e alla fragranza della sua presenza personale. L’arte dell’accompagnamento significa, prima di tutto, togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro (cfr Es 3,5 citato in EG, 169). Bisogna impedire che i fratelli e le sorelle da pellegrini si trasformino in orfani erranti che ruotano intorno a se stessi senza arrivare da nessuna parte. Chi accompagna deve esercitarsi nell’ascoltare più che nel sentire (cfr EG 170).
Un corredo fondamentale per chi si fa compagno di viaggio verso la gioia del Vangelo è la pazienza e la capacità di lavorare “a tempi lunghi”, senza fretta, senza l’ossessione dei risultati immediati, senza blocchi e traumi dirompenti davanti ai cambiamenti, a rallentamenti, ai fallimenti …
Infine, l’animatore che vive nel cuore della Chiesa evita di rimanere coinvolto in attività vissute senza senso, senza motivazioni. Reagisce alla tentazione di perdere la serenità. Accetta le difficoltà connesse con il suo compito. Non coltiva sogni di successo in maniera vana. Non si lascia rubare la gioia dell’evangelizzazione (cfr EG, 83). Soprattutto non cede al pessimismo sterile e al demone dell’invidia e della divisione (cfr EG, 84 e 98). Il vero animatore della comunità cristiana non si lascia rubare la speranza (cfr EG, 86) né dà spazio a forme di divisione, calunnie, vendette e gelosie. Nella sua vita risplende la parola dell’Apostolo Paolo ai cristiani di Roma: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene” (Rm 12,21).
I catechisti: servi della Parola
L’evangelizzazione, come gioiosa, paziente, costante, progressiva predicazione della salvezza in Gesù Cristo e nella sua Pasqua dev’essere la priorità assoluta per la Chiesa e per tutti noi (cfr EG, 110). Ma l’evangelizzazione richiede una pluralità di ministeri, compiti e figure educative. All’interno di una moltitudine di testimoni e in compagnia di diversi animatori emerge la figura del catechista. La profezia è l’orizzonte interpretativo in cui collocare e pensare tutto l’agire catechistico e le competenze relative. Il servizio del catechista, animato dallo Spirito, necessita di alcune attenzioni relazionali, educative e culturali necessarie ad un annuncio fecondo e incisivo della Parola. Se la catechesi è servizio della Parola, il catechista è servo della Parola nel suo rapporto con la coscienza dell’uomo vivente. Egli ha il compito di calare la Parola nelle pieghe della vita. Deve favorire il rapporto della Parola con la coscienza, deve essere tramite rispettoso, delicato, paziente, attento e umile. Non deve fare da schermo alla Parola. Deve facilitare il percorso della Parola nel cuore delle persone che gli vengono affidate, perché essa sia radice di scelte, atteggiamenti, comportamenti. A partire da “Il rinnovamento della catechesi”, il Documento di base del rinnovamento catechistico italiano e dell’impianto di educazione alla fede (cfr soprattutto il n. 200), la vera ricchezza delle nostre Chiese, e della nostra Diocesi, sono le decine e decine di catechisti che, in maniera gratuita e a partire dalla loro fede, offrono alle comunità parrocchiali un contributo unico e insostituibile all’annuncio della gioia del Vangelo. Colgo questa occasione per dire loro il nostro “grazie!”. Grazie ai catechisti di ieri e di oggi. Grazie soprattutto a quei servitori della Parola che, nonostante il cambiamento del clima culturale e il peggioramento di tante situazioni familiari, sociali ed ecclesiali, continuano con costanza e umiltà il loro servizio difficile a contatto con i ragazzi/adolescenti di oggi nella vigna del Signore. Grazie per la loro voglia di imparare ancora, per l’umiltà con cui si dispongono ad iniziare un nuovo anno pastorale.
I catechisti: vocazione e ministero
Dal Concilio Vaticano II i contributi volti a specificare il ministero ecclesiale del catechista sono stati molteplici. Non è mio intento offrirvi un trattato su questa figura di credente e di animatore ecclesiale. Rimando – e io stesso vi attingerò soprattutto da alcune significative pagine – all’ultimo documento arrivato, redatto dalla Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi e sancito dal voto della 66^ Assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana (Roma, 19-22 maggio 2014). Si tratta di “Incontriamo Gesù” (= IG), orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia del 29 giugno u. s., un testo che ha lo scopo di sostenere la riflessione e la progettazione della pastorale catechistica e che invito tutti a leggere. Non si tratta di un “nuovo” documento di base. Né è un testo che voglia sostituirne altri. “Incontriamo Gesù” è uno scritto che vuole aiutare le nostre Chiese, nel tempo di una rinnovata evangelizzazione, a rafforzare una comune azione pastorale nell’ambito delle catechesi e uno slancio comune nell’annuncio del Vangelo.
Gli Orientamenti, al capitolo quarto (“Testimoniare e narrare”), nel presentare gli evangelizzatori delle comunità cristiane a servizio della vita buona del Vangelo, propongono la fisionomia dei catechisti a partire dalla loro vocazione (nn. 73-75), la specificità del loro servizio (nn. 76-78), la necessità della loro formazione (nn. 79-82).
Il catechista in quanto evangelizzatore ed educatore “è un cristiano adulto, cittadino responsabile, capace di narrare e motivare la propria vicenda di fede e di raccontare la sua esperienza di Cristo, radicata nell’appartenenza ecclesiale. Egli è un annunciatore della Parola che dona la gioia, mediatore di un’esperienza ecclesiale ampia e positiva, accompagnatore leale e affidabile nei passaggi fondamentali della vita di quanti gli sono affidati. Non deve conoscere tutto, ma sa che il Vangelo è capace di illuminare ogni dimensione umana”. (IG 66)
“Il catechista è, quindi, un credente che si colloca dentro il progetto amorevole di Dio e si rende disponibile a seguirlo. Come testimone di fede, egli:
- vive la risposta alla chiamata dentro una comunità, con la quale è unito in modo vitale, che lo convoca e lo invia ad annunciare l’amore di Dio;
- è capace di un’identità relazionale, in grado di realizzare sinergie con gli altri agenti dell’educazione;
- svolge il compito specifico di promuovere itinerari organici e progressivi per favorire la maturazione globale della fede in un determinato gruppo di interlocutori;
- con una certa competenza pastorale, elabora, verifica e confronta costantemente nel gruppo dei catechisti e con i presbiteri della comunità la sua azione educativa;
- armonizza i linguaggi della fede – narrativo, biblico, teologico, simbolico-liturgico, simbolico-esperienziale, estetico, argomentativo – per impostare un’azione catechistica che tenga conto del soggetto nella integralità della sua capacità di apprendimento e di comunicazione;
- Si pone in ascolto degli stimoli e delle provocazioni che provengono dall’ambiente culturale in cui si trova a vivere” (IG 73).
Il volto spirituale del catechista fa centro in maniera decisa su Gesù Cristo, sulla sua persona, sul suo magistero di umanità e di vita. Cristo è il fulcro di cui il catechista sente il fascino e l’attrattiva. Nello stesso tempo è viva in lui la coscienza di appartenere ad una comunità cristiana. Il suo ministero va compreso in quanto servizio alla Parola, vissuto in virtù del mandato dato dalla comunità ecclesiale. E ciò caratterizza tutta la sua esistenza (cfr IG, 78).
“Chi è il catechista?”, si domandava Papa Francesco nell’Omelia alla Messa per l’incontro dei catechisti in occasione dell’Anno della Fede il 29 settembre 2013. E rispondeva così: “E’ colui che custodisce e alimenta la memoria di Dio; la custodisce in sé stesso e la sa risvegliare negli altri …”. Il catechista, in tal senso, è uno che aiuta le persone che accompagna a discernere e ad accogliere la propria vocazione come progetto di vita (cfr IG, n. 74). E proprio in questa prospettiva il catechista stesso non sceglie da solo il servizio del Vangelo, ma risponde “liberamente ad una vocazione, i cui elementi specifici sono: una consapevole decisione per Gesù Cristo, da consolidare in un cammino di fede permanente; l’appartenenza responsabile alla Chiesa, in spirito di comunione e di complementarietà con gli altri ministeri; la capacità di favorire la progressiva integrazione tra la fede e la vita dei catechizzandi” (IG, n. 77).
Il ruolo dei catechisti è delicato ed è delicata la scelta delle persone per questo servizio. Un discernimento è indispensabile. Titolari e responsabili di questo discernimento sono i parroci e i loro collaboratori. Il riconoscimento ufficiale di tale discernimento e l’espressione più chiara della vocazione al servizio catechistico è il Mandato del Vescovo. Esso “apre al riconoscimento di una grazia particolare che sostiene il servizio (dei catechisti) … Il Mandato esprime dunque l’appartenenza responsabile del catechista alla propria comunità diocesana, perché manifesta la sua corresponsabilità nella missione di annunciare il Vangelo e di educare e accompagnare nella fede. Esso è anche segno del riconoscimento di questa specifica vocazione e un titolo fecondo per il coordinamento dell’azione educativa in seno alla Chiesa” (IG, 78).
Trasformare il grido in invocazione
Prima di spendere ancora una parola sulla formazione dei catechisti, vorrei aggiungere un’ultima considerazione per quanto riguarda il servizio alla vita buona del Vangelo di chi accompagna i ragazzi e gli adolescenti. Nel concludere “La passione per il Vangelo” ho già affermato che “l’adulto significativo, capace di essere un punto di riferimento per ragazzi, adolescenti e giovani è uno che sa accogliere il loro grido (la loro richiesta di aiuto, spesso silenziosa o “scomposta”) e sa trasformarlo in invocazione perché si aprano al Mistero di cui sono seminati i nostri passi” (p. 15). Nel guardare il vissuto di tanti ragazzi e adolescenti si scopre una domanda di senso anche nelle espressioni più disturbate, una domanda di senso e di speranza, di ragioni di vita e di futuro. E’ un “grido” forte verso gli adulti, un dono che non ci lascia tranquilli e ci carica di responsabilità. Il servizio educativo del catechista e della catechista è per educare questo grido e trasformarlo in invocazione. Allora l’accompagnamento alla vita buona del Vangelo e alla gioia di vivere è un gesto d’amore.
L’incontro con Gesù Cristo attraverso l’atto catechistico restituisce vita e speranza, sollecita ad una responsabilità radicale per la causa del Regno di Dio. Accompagnare nella gioia del Vangelo significa aiutare una persona a diventare sempre più signore della propria vita anche nei momenti più difficili, offrendole la capacità di collocarla dentro un progetto più grande che riguarda il futuro della sua esistenza, un progetto che ha come cuore Gesù Cristo e la sua Pasqua. Chi serve quest’annuncio dev’essere una persona che parla per conoscenza diretta, comunica una esperienza personale, che coinvolge e che spinge alla sequela. Questo coinvolgimento è assicurato solo dalla coerenza e da una grande competenza. Di qui la necessità della formazione.
I catechisti: necessità e urgenza della formazione
“La capacità evangelizzatrice delle nostre comunità dipende in buona misura dai catechisti; di qui l’importanza, l’urgenza e, al tempo stesso, la delicatezza nella scelta d’un percorso formativo adeguato” (IG, n. 79). Dalla qualità dei catechisti dipende in massima parte l’impianto educativo delle nostre parrocchie. Non basta una formazione occasionale e pensata per una situazione di cristianità che non esiste più. Essa deve prendere atto della nuova situazione di pluralismo culturale e religioso, in cui la fede cristiana non è più un dato normalmente acquisito. La fede deve essere “generata” o “rigenerata”. Si avverte il bisogno di percorrere nuove vie, ma si fatica a intuire la direzione verso cui muoversi. Non va ignorato soprattutto che negli ultimi anni si sono verificati cambiamenti significativi: per quanto riguarda il discorso catechistico appaiono di rilievo i processi che – rimanendo sempre identici i contenuti di fede – hanno portato a considerare la catechesi come un atto relazionale, educativo e comunicativo (cfr IG, 79). Alcune di queste acquisizioni sono: “La riscoperta dell’intrinseca dimensione missionaria della catechesi; la scelta di ispirarsi al modello catecumenale; la premura nel mettere al centro le persone e gli ambiti in cui si svolge ordinariamente la loro vita; il recupero dell’armonia dei linguaggi della fede, da quello biblico-narrativo a quello liturgico, artistico-simbolico, esistenziale; un’introduzione all’intera gamma di linguaggi umani, particolarmente quelli della comunicazione mediatica e digitale; un più stretto rapporto con le altre figure ecclesiali, in modo che l’opera del catechista non rischi di rimanere esposta all’isolamento (IG, n. 79).
Gli obiettivi fondamentali della formazione dei catechisti sono essenzialmente due: maturare identità cristiane adulte e formare persone con una competenza specifica nella comunicazione della fede (cfr IG, n. 81). La formazione iniziale e permanente deve saper integrare le cinque prerogative della identità-missione del catechista: l’essere, il sapere, il saper fare, il sapere stare con, il sapere stare in. E ciò in un processo che sia caratterizzato prima di tutto da una prospettiva narrativa, in quanto nello stesso evento di comunicazione della fede si intrecciano la storia di Dio che si fa vicino all’uomo in Gesù Cristo; l’esperienza e le attese delle persone cui è diretto l’annuncio; la vita e il percorso di fede di chi annuncia. Il percorso formativo dei catechisti, inoltre, deve presentare una forte accentuazione kerigmatica: il primo annuncio è “primo” non nel senso che sta all’inizio e poi si dimentica o si sostituisce. “E’ il primo in senso qualitativo, perché è l’annuncio principale, quello che si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve sempre tornare ad annunciare durante la catechesi in una forma o nell’altra, in tutte le sue tappe e i suoi momenti” (EG, n. 164). L’iniziazione cristiana, infine, deve lasciarsi ispirare dalla logica catecumenale (cfr Direttorio generale per la catechesi, nn. 68 e 90). Che non significa tanto riprodurre in maniera mimetica la configurazione del catecumenato battesimale quanto fecondare i percorsi di fede con i principi basilari caratterizzanti al catecumenato. La logica catecumenale deve caratterizzare strumenti, percorsi, metodi del cammino di fede; deve coinvolgere famiglie e comunità tutte; deve abbracciare tutte le dimensioni dell’esperienza cristiana. Esige un cambio deciso di mentalità. Ecco, allora, una terza sottolineatura del percorso formativo per catechisti.
Chi deve curare la formazione dei catechisti? Come portarla avanti? A quale livello?
Il servizio dell’Ufficio Catechistico Diocesano è irrinunciabile per la formazione. Ma per essa bisogna sostenere in spirito di sussidiarietà tutte le varie iniziative a livello diocesano, foraniale, parrocchiale e regionale. Per le proposte pastorali rimando ai nuovi Orientamenti, ai nn. 87-95.
Chi accompagna, non è il centro dell'avventura educativa. Anzi chi accompagna ad un certo punto deve scomparire. Tutto lo sforzo educativo è orientato ad abilitare all'esercizio della vita cristiana in modo adulto e in comunione con la comunità. Essere catechisti, compagni di viaggio, non significa altro che impegnare la vita per favorire l'azione dello Spirito Santo, che è dono del Risorto e che abita inaspettatamente tutte le persone. Chi accompagna deve farlo nella gioia del Vangelo, deve essere capace di rimanere sorpreso dalle persone, deve saper guardare con simpatia, per poter discernere il desiderio di Bellezza nel cuore di quanti incontra. Accompagnare nella fede, in ultima istanza, è crescita per coloro che accompagnano, per la comunità che accompagna, perché si riceve nuovamente la fede, rielaborata nella vita di chi si accompagna; si riceve nuovamente se stessi, perché lo sguardo dell'altro permette una nuova consapevolezza della propria vita di fede; si arricchisce la vita relazionale e il tessuto relazionale della comunità.
Prima di concludere vorrei ringraziare in maniera particolare don Salvatore Soreca, aiutante di studio presso l’Ufficio Catechistico Nazionale, non solo perchè ci ha aiutato a riflettere con competente disponibilità durante il Convegno del giugno scorso, ma anche per l’amabilità e la cortesia con cui mi ha messo a disposizione i suoi appunti da cui ho attinto per alcuni passaggi di questo mio scritto.
Conclusione
Uno dei segni più belli della Chiesa “in uscita” missionaria sono “le chiese con le porte aperte” (EG, n. 47). Ha colpito tanto questa affermazione di Papa Francesco ne “La Gioia del Vangelo”. Le porte aperte delle chiese, però, devono essere segno di altre porte che si schiudono.
In effetti non basta aprire le porte delle chiese! Il problema vero è quello di creare un’attrattiva, di far venire a tutti la voglia di entrare, soprattutto ai ragazzi e agli adolescenti. Ecco perché le nostre parrocchie hanno bisogno di un numero maggiore di adulti in gamba; di persone disponibili, aperte, affabili, pazienti, serene, capaci di ascolto e di dialogo. C’è urgenza e necessità di catechisti di qualità.
Alla fine dell’Esortazione, che ho più volte citato, Papa Francesco sottolineava che c’è uno stile mariano nell’attività evangelizzatrice fatto di tenerezza, affetto, di calore, di premura. “Ogni volta che guardiamo a Maria”, queste le parole del S. Padre, “torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto. In lei vediamo che l’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti, che non hanno bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti” (n. 288).
Alla Signora della premura dobbiamo guardare noi tutti servitori del Vangelo per la gioia degli uomini. A Lei debbiamo chiedere che con la sua preghiera aiuti la nostra Chiesa diocesana e ogni sua comunità a diventare case per molti, soprattutto famiglie accoglienti per i nostri ragazzi e adolescenti.
Con Maria noi servitori della Parola, insieme ai nostri catechisti e catechiste, camminiamo con immensa fiducia e fermissima speranza verso la promessa di cieli nuovi e nuova terra formulata dall’ultima parola di Dio, che è il sigillo non solo dell’Apocalisse, ma di tutta la S. Scrittura e che mai dovremmo dimenticare: “Io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21, 5).
Anagni, 28 settembre 2014